sabato 3 agosto 2013

Manon Lescaut terra terra [2]

L'opera terra terra! 
seconda puntata


MANON LESCAUT
(Puccini)


Personaggi:

Manon Lescaut, ex-diciottenne sempre dalle idee poco chiare
Renato DesGrieux, ex-studente belloccio, squattrinato e dedito al gioco d'azzardo
Lescaut, fratello maggiore di Manon, noto solo con il cognome; nullafacente, mantenuto, dedito al gioco d’azzardo, a manipolare la sorellina e salvarsi le chiappe
Geronte di Ravoir, settantenne col grano


ATTO II

Beh, alla fine ci secca terribilmente ammettere che quell’antipatico di Lescaut ci aveva visto giusto: non sappiamo cosa sia successo tra un atto e l’altro, quanto tempo sia passato...ma Manon vive stabilmente nella ricca dimora del vecchio Geronte. 
Non fatevi ingannare dalla musica frivola e dagli argomenti da salone di bellezza che trillano per l’aere: qui tutto, a partire dalla didascalia scenica che precede la musica, trasuda pesantezza e oppressione. 
Ditemi se non è vero: Salotto elegantissimo in casa di Geronte. Nel fondo due porte. A destra, ricchissime e pesanti cortine nascondono l'alcova. A sinistra, presso alla finestra, una ricca pettiniera. Sofà, poltrone, un tavolo. Manon è seduta avanti alla pettiniera: è coperta da un ampio accappatoio bianco che le avvolge tutta la persona. Il Parrucchiere si affanna intorno. Due Garzoni nel fondo stanno pronti ai cenni del Parrucchiere. 
Sembra di stare un sepolcro.
Per un bel pezzo la conversazione tra Manon e il fratello (che ci fa lì? Approfittatore e mantenuto!) gira intorno all’aria fritta, ammorbandoci con una quantità di inutili ciance sui nomi che si possono dare a nei finti (lo sfrontato, il birichino, il galante, l’assassino, il voluttuoso) e maquillagerie di varia natura (cerussa, calamistro, volandola), finché lui, cinico, butta là un riferimento a quanto è stato bravo a portarla via da quella casetta angusta in cui sì, aveva tutti i baci che voleva, ma non il becco di un quattrino.
[E’ dunque naturale che tu abbia abbandonato per un palazzo aurato quell'umile dimora...(Lescaut)]
In realtà lo dice proprio per stuzzicarla (ma perchè poi? S’annoia il signorino? Vogliamo ravvivare un po’ l’ambiente allargando la voragine nel cuore di Manon?), finché lei non ammette che le piacerebbe avere notizie di DesGrieux.
Salta fuori che l’ex-studente è diventato un caro amico di Lescaut, così come Geronte (hai capito il doppiogiochista?), tanto che per non sentir più le sue lagne su “Ov'è Manon?...Ove fuggì?... Con chi? A Nord? Ad Est? A Sud?” gli dà un consiglio, proprio un gran bel consiglio da amico. 
Cosa potrà suggerirgli? 
Di tornare e lottare per Manon, che tanto è cotta persa di lui? Di trovarsi un lavoro e farsi un nome, per conquistare l’amata? Di uccidere un drago e portarle il suo cuore? NO! Di giocare d’azzardo e sperare di accumulare una fortuna, perché Manon non sarebbe mai fuggita con lui se non per un bel mucchio di soldi.
Ora, su Manon gliene hanno sempre dette di ogni: che è una prostituta, che è avida, che pensa solo ai soldi...Ma ci fosse una volta che queste parole fossero venute da lei! 
No!! Manon ce l’hanno sempre e solo raccontata, che le piace di qua, le piace di là...Ma almeno finora cosa lei realmente pensi, nessuno, nemmeno Renato gliel’ha mai fatto dire!
Però c'è anche da dire che qui invece di indignarsi per l’infamia a cui Renato si sta sottoponendo per lei, è tutta felice perché il suo amore non l’ha dimenticata e lotta per lei. Vabbè.
[Per me tu lotti, per me, vile, che ti lasciai...che tanto duol ti costai! (Manon)]
Poi si ripiomba nell’apatia, e subito ripensiamo già con nostalgia al momentaneo slancio di passione giovanile che l’aveva travolta al pensiero del suo bel Renato: Manon è una reclusa, e la sua prigione dorata non è solo il palazzo, ma anche lei stessa, la sua bellezza e la vita patinata che si è - e le hanno - costruita addosso: un’alcova dorata in cui per lei c’è solo un silenzio gelido, mortal, un freddo che m'agghiaccia.
Arrivano musici a cantarle serenate da parte di Geronte, danzatori ad allietare le sue lunghe e tediose giornate, ma è evidente che la Manon che vediamo non è che un guscio vuoto.
Paradossalmente, il risolutore (nonché inconsapevole artefice della futura tragedia) è il solito Lescaut, che si reca segretamente da DesGrieux per farlo incontrare con la sorella. 
Un inaspettato impeto d’altruismo? Un repentino pentimento per le nefandezze passate? 
Macché: quello ha capito che tira una brutta aria, e vuole pararsi le chiappe.
[Una donnina che s'annoia è cosa da far paura!...Andiam da Des Grieux! È da maestro preparar gli eventi!...(Lescaut)]
Dopo un interminabile quarto d’ora in cui Geronte e Manon ballano minuetti (e che mi sono sempre chiesta se fosse necessario, ma ora credo di comprendere che sì, è necessario per darci la misura di quanto Manon sia soffocata da quella vita perfetta), la donzella si attarda mentre gli altri escono per la cena. E chi entra in quella? Ta-dàn!
Tu, tu, amore? Tu? Sei tu, ah, mio immenso amore? Dio!...
DesGrieux ci prova a tenerle il broncio, ma dura giusto cinque secondi: a quel bel faccino non si può proprio resistere. Manon esplode d’amore, gli grida le cose più belle che abbia mai detto in vita sua, si strappa i capelli, ritorna un essere umano. 
Che bellezza.
Ma a DesGrieux è sfuggito un dettaglio. 
Un piccolissimo dettaglio, che se avesse colto l’avrebbe cortesemente salutata e mollata al suo destino. 
Lei gli dice sì che Manon te solo brama, Alle mie brame torna, La bocca mia è un altare dove il bacio è Dio...Sì, ma in realtà la primissima cosa che le era scappato di dirgli è stata... Vedi? Son ricca!
Te l’hanno rovinata, Renato: magari era già un po’ avidella a diciott’anni, ma ora è proprio irrecuperabile...e se te ne fossi accorto in tempo magari a quest’ora saresti a sfondarti di escargot al tavolino di un bistrò. E invece no.
Insomma, se la cantano e se la ridono, e alle loro spalle arriva Geronte, che nonostante becchi i due piccioncini darci dentro sul sofà buono del salotto fa sfoggio di ironia e di un certo savoir faire, al contrario di DesGrieux che fa pure il sostenuto: o Renatino, ti sei accorto di chi è la casa? E teoricamente pure la donna, ma ricordiamo che l’acume non è la sua migliore qualità. 
Ci si mette pure Manon a rincarare la dose offendendo il tizio che l’ha sfamata e agghindata per tutto questo tempo, sbattendogli in faccia la cruda realtà: "Noi siamo belli e ggiovani, tu guardati allo specchio!"
Geronte incassa, saluta e se ne va. Noblesse oblige!
[O gentil cavaliere...O vaga signorina...Arrivederci, a presto! (Geronte)]
A questo punto perfino quel cervello di mattone di DesGrieux capisce che è il caso di levare le tende senza troppi complimenti, ma non ha fatto i conti con quel piccolo, piccolissimo dettaglio di cui sopra.
"Bon amore, facciamo che si va, eh?"
"Ehhh ma...Fammi tirar su due cosette che poi non ho niente da mettermi..."
Avete capito bene. Dopo tutto questo bailemme, alla damigella dispiace andar via da quella bella casa, e finalmente Renato s’inviperisce rinfacciandole più o meno tutto, anche quello di cui lei non aveva teoricamente colpa: "Sei sempre la stessa!" e giù a dirle che sì, quando ama e c’è la passione Manon è una bomba, ma poi si perde via con i gioielli e le ricchezze...Giovinotto, non lo sapevi anche prima che Manon era fatta così? E allora piantala di incolparla per averti indotto al gioco che lei non c’entra proprio nulla! E da che si diceva che era ora di togliersi dai piedi, saranno passati un buon dieci minuti tra insulti e pianti, dunque et voilà!, nuovo colpo di scena: arriva Lescaut trafelato con la lingua a terra dalla gran corsa, che dopo aver ripreso fiato rantola qualcosa sul fatto che Geronte li ha denunciati alla polizia.
Ormai l’avevamo capito che tra i due era il vecchio quello furbo, altro che quel baccalà di Renato.
Ma Manon niente, anche adesso che inizia a sentir puzza di bruciato si ostina a radunare le sue cose (di Geronte),  svuotare i cassetti (di Geronte), raccattare tutto l’oro che trova (di Geronte), intascare gli smeraldi (di Geronte), arrivando a un punto di mostruosità tale da renderla sinistramente simile al viscido Gollum, perfino nelle parole: “Il mio tessssoro, il mio tessssoro!”
Renato e Lescaut rasentano ormai la disperazione, e quando Manon si rende conto della gravità della situazione è troppo tardi: gli arcieri hanno circondato la villa, i gendarmi li accerchiano. A Manon cade l’involto pieno di gioielli rubati, così viene immediatamente fermata e arrestata: solo l’implorazione di Lescaut, forse la prima cosa sincera che dice dall’inizio dell’opera, permette a DesGrieux di fuggire: Se vi arrestan, cavalier, chi potrà Manon salvar?

(...continua...)

[Copyright Suite Lirica ©, è vietata la riproduzione senza fonte]

Manon Lescaut terra terra

Allora, quante volte vi è capitato di voler conoscere la trama di un'opera e, vergognandovi come ladri, aprire zitti zitti Wikipedia per cadere addormentati due secondi dopo o ammettere di non averci capito nulla? Per forza! Un'opera non si può sintetizzare in poche parole, a meno che quelle parole non siano L'opera è quando qualcuno viene accoltellato alla schiena e invece di sanguinare, canta. (cit. Ed Gardner)
Ma se vogliamo rendere il succo, la tensione, la meraviglia di un'opera un riassuntino non basta: l'opera va suonata, cantata, ascoltata per essere davvero amata. 
E per chi non ha tempo? Per chi non ha tempo inauguro oggi la rubrica "L'opera terra terra", sintesi semiserie delle opere che sto studiando, che mi piacciono, che voglio far conoscere a chi non le ha mai sentite. 
Si astengano i puristi dal leggere: qui non troverete citazioni colte, né guide all'ascolto, né rispettoso decoro; a me l'opera fa ridere, piangere, sospirare e incazzare: ed è ciò che spero trovi sempre nell'ascolto dell'opera qualcuno che vi si accosta per la prima volta. 
Buona lettura!



L'opera terra terra! 
prima puntata

MANON LESCAUT
(Puccini)


Personaggi:


Manon Lescaut, diciottenne dalle idee poco chiare
Renato DesGrieux, studente belloccio ma squattrinato
Lescaut, fratello maggiore di Manon, noto solo con il cognome; nullafacente, mantenuto, dedito al gioco d’azzardo e a manipolare la sorellina
Geronte di Ravoir, settantenne col grano
Edmondo, studente amico di Renato



ATTO I


Nel quale vengono presentati Renato, schivo e malinconico studente di Amiens alle prese con un ideale di donna a quanto pare inesistente, ed Edmondo, amico scanzonato e gaudente per il quale la vita sembra un felice girotondo di stornelli e sguardi maliziosi alle fanciulle presenti. 
[Preparo un madrigale furbesco, ardito e gaio; e sia la musa mia tutta galanteria! (Edmondo)] Uno squillo di tromba annuncia l’arrivo del cocchio proveniente da Arras, evidentemente unico svago giornaliero degli studenti amiensi, poiché tutti si affannano a sbirciare chi sia arrivato. L’aria si surriscalda alla vista di una donnina bella, e Renato si ringalluzzisce tutto ad un tratto, andando subito a provolare prima che qualcun altro gli rubi il posto.

E così ci prova, piuttosto goffamente, e sciorinando la più trita delle scuse: “Ehm..er...io...ecco..Non ci siamo già visti da qualche parte?”.
[Perdonate al dir mio, ma da un fascino arcano a voi spinto son io. Persino il vostro volto parmi aver visto, e strani moti ha il mio core. (Renato)]
Manon non fa una grinza, e cortesemente si presenta e gli dice che sta andando a farsi suora per volere del padre. 
Padre che immediatamente si conquista le antipatie del pubblico: dei due figli una t’è uscita bene, caruccia, ammodo, e la sbatti in convento. L’altro, cafone, arrivista, beone e dedito al gioco d’azzardo, non solo lo lasci a piede libero ma gli affidi pure la figlia a malapena maggiorenne. 
E poi si dice che uno le disgrazie non se le va a cercare!
Insomma, dopo questa presentazione strappacuore Renato riesce a ottenere un appuntamento clandestino con la bella per la sera stessa e resta lì imbambolato a guardarla, ripetendosi il suo nome (“O Manon Manon, perché sei tu Manon?”).
[«Manon Lescaut mi chiamo!» Come queste parole profumate mi vagan nello spirto e ascose fibre vanno a carezzare. O sussurro gentil, deh! Non cessare!...(Renato)]

Il gruppetto di amici riprende a cantare inni all’ammore e prende in giro DesGrieux (“Renato è innamorato, pappappero!”), ma molto più interessante è seguire il dialogo che si svolge contemporaneamente, in disparte, tra Lescaut e un vecchio bavoso che ha viaggiato nello stesso cocchio dei due fratelli, evidentemente senza staccare mai gli occhi dalla scollatura dell’aspirante novizia.

Lescaut chiacchiera amabilmente con il vecchio, tal Geronte di Ravoir, e gli luccicano gli occhi quando questi si lascia casualmente sfuggire il suo prestigioso e danaroso incarico (tesoriere del re, nientemeno). E magicamente, mentre poc'anzi Lescaut non faceva che lagnarsi del fatto di dover scarrozzare la sorellina in giro per la Francia, ecco che gli parte l’embolo del fratello premuroso e preoccupato: Pensate, a diciott’anni! Quanti sogni e speranze!...

E giù salamelecchi da entrambe le parti, finché Lescaut non si attacca al banco delle carte come un cane all’osso e Geronte se ne va ad organizzare una fuga d’amore con la bella Manon; purtroppo per lui, il pettegolissimo Edmondo lo sente parlare con l’oste e capisce al volo. Tempo tre secondi, ed è già da Renato che è ancora lì che si bea: e qui capiamo che Manon ha puntato l’amico sbagliato. Alle parole concitate dell’amico non sa far altro che piagnucolare un “Ma dovevamo vederci stasera!”, al che Edmondo, che evidentemente non ha proprio nulla da fare, si offre di organizzare la contromossa. 
Nel frattempo Manon torna, come promesso, da Renato: ma non si illuda il signorino, lei è venuta solo per dirgli che è meglio chiuderla lì e di accettare il due di picche senza insistere troppo. 
In effetti è arrivata ad Amiens sì e no da dieci minuti e l’hanno già tampinata in due, come darle torto? 
Lui gioca la carta del “Ma come? Sì giovine e già tanto bigotta?”; lei si lascia andare a bei ricordi d’infanzia, quando ancora poteva divertirsi con le amiche. Lui, invece di capire che l’argomento è serio [Una fanciulla povera son io, non ho sul volto luce di beltà, regna tristezza sul destino mio. (Manon)] e bisognerebbe come minimo chiederle con un po' di delicatezza perchè prima era felice e poteva ridere e giocare mentre ora le tocca farsi suora, ma no: l’edonista che c’è in lui galoppa piantandole in faccia un paio di “V’amo! V’amo!” che neanche in Beautiful, lei ci riprova a dirgli che è triste, ma no, lui gorgheggia che l’amore vince su tutto, e che la sua bellezza le avrebbe spalancato un fulgido avvenire. 
Che storia originale! 
Della sua tristezza non gli potrebbe importare di meno, ma dato che è gnocca va salvata. 
Ma l’ipocrisia di DesGrieux non ha limite: dato che ha capito che con le sviolinate non avrebbe battuto chiodo, butta là la storia del rapimento, chiamando Geronte “libertino audace”, un “vecchio” che ordisce a suo danno...E allora che si fa? “Rapita per rapita, fatti rapire da me!”
Manon ha un bel dir di no, ma dato che fin qui Renato ha dimostrato la capacità di ascolto di un comodino, le tocca cedere: i due scappano con la carrozza ordinata da Geronte. Il quale quando si accorge della fregatura dà di matto: ma Lescaut, sornione, placa i senili ardori: “Inutile star qui a menare il torrone, ormai non li prendiamo più”, e per nulla turbato dal fatto che un vecchio sconosciuto stia smaniando per la sorellina (Manon con sue grazie leggiadre ha suscitato in voi un affetto di padre!, eh già!) svela di conoscerla molto bene, asserendo che non appena DesGrieux avesse finito i soldi ("Che rendita vuoi che abbia uno studente?") sarebbe tornata a casa con la coda tra le gambe, ben lieta di vendersi in cambio di un bel palazzo (nel quale avrebbe preso posto anche il bravo fratello, guarda un po’). 
Un po’ viene da chiederselo...ma che ha combinato Manon perché quel becero di fratello vada in giro a parlarne così?
Chiudono l'atto i soliti studenti, che maliziosamente fanno capire che per tutto questo tempo non avevano fatto altro che spettegolare alla grande su quanto accadeva alla locanda: A volpe invecchiata l'uva fresca e vellutata sempre acerba rimarrà!


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domenica 10 febbraio 2013

Intervista a PEDRO CARRILLO

Non sono una giornalista, né ho ambizioni in tal senso. Mi definirei più che altro una persona curiosa che non si stancherebbe mai di fare domande.
In particolare, faccio un lavoro che a volte mi porta a chiedermi...Ma perché lo faccio? I sacrifici sono all'ordine del giorno fin da quando si è bambini, e chi decide di fare il musicista nella vita viene sempre guardato con un misto di interesse e sospetto. E spesso mi domando come vivano questa situazione gli altri musicisti...e allora ho pensato: perché non chiederglielo di persona?
Ho molti amici e conoscenti che hanno scelto questa strada, e ho pensato di chiedere loro di raccontarci su questo blog qualcosa di loro, delle loro scelte...Alcuni di loro sono affermati e in carriera, altri sono giovani promesse, altri ancora si stanno costruendo il proprio futuro passo dopo passo. Le loro storie sono belle e uniche, e spero che vi piacerà leggerle quanto è piaciuto a me raccontarle.

Il mio primo intervistato è il baritono venezuelano Pedro Carrillo, che ho avuto la fortuna di conoscere alcuni anni fa durante una masterclass in Sicilia. 
Buona lettura!


Pedro.
Sono nato a Caracas, Venezuela, un bel giorno di giugno dell’anno…poi te lo dico. Ho studiato canto nella mia città, dove ho fatto l’università ben due volte: la prima mi sono laureato come Produttore di Radio, Cinema e Teatro. La seconda come cantante lirico, la mia vera vocazione e passione. 
Troppi anni di studio!
Italia, la mia nuova casa.
Sono in Italia da 5 anni, non riesco a capacitarmi di come passi il tempo. Mi sono trasferito principalmente per studiare a Milano con il M° Vittorio Terranova. Sentivo la necessità di ricostruire la mia tecnica vocale: dopo una masterclass a Caracas con un celebre soprano, mi sono accorto di avere ancora troppi dubbi, spazi vuoti, e volevo riempirli. Per caso ho conosciuto a Bogotà un ex-allievo di Terranova, e sono riuscito a contattarlo. Dopo poche lezioni ho intuito subito che con lui c’era una grande possibilità di imparare e soprattutto "rifarmi la testa". In Venezuela cantavo un repertorio limitato, mentre qua ho capito fino a dove avrei potuto spingermi.

Partire non è stata una decisione sofferta, anzi.

Una volta ammesso alla Accademia Marziali [dove insegna il M° Terranova, ndr], sono tornato alla mia città e nel giro di tre settimane ho chiuso casa mia, ho sistemato i miei documenti e… mi sono sposato! Tre settimane per chiudere una vita ed iniziarne una nuova. Credo che se non fosse stato così, se mi fossi messo a pensarci…non avrei fatto nulla…
Perché l'Italia? Ho sempre pensato che in realtà non sono io ad aver scelto questo Paese, ma è l’Italia che ha scelto me. Avevo già provato a venire in Europa diverse altre volte: Germania, Francia, Spagna, ma c'era sempre qualcosa che mi chiudeva la porta. Da quando ho deciso di venire in Italia invece sono stato subito in grado di riconoscere le "porte", e finora poche sono rimaste chiuse. L'Italia è la mia nuova patria.

Venezuela: un amore doloroso.
In Venezuela c'è una realtà fantastica per gli strumentisti: tante orchestre, tanti posti per studiare e bravissimi maestri. Puoi farti una vita di buon livello, senza tradire la tua vocazione. Per un cantante è molto diverso. Poche opportunità, spazi chiusi, direttori inadeguati, liste nere. Infine…una difficile realtà. 
In Italia, da cantante, ho trovato più riconoscimento al valore del mio lavoro, opportunità che mai mi sarei immaginato, gente che ha voluto prendersi rischi per me e con me, persone che mi hanno fatto crescere: gente che sa il mestiere e da cui è bello imparare. E poi, ho trovato tanti colleghi che mi hanno accolto subito come loro pari, anche se sono straniero, per il semplice fatto di riconoscere nel mio lavoro un livello, un lavoro ben fatto e tanta passione. 
Da quando sono arrivato non ho fatto altro che cantare, e i teatri mi richiamano. Questo nel mio Paese era quasi impossibile. Una volta che fai il primo errore, non te lo perdonano più. Certamente ho commesso errori anche qui, in Italia ed Europa, ma c’è sempre stato qualcuno che ha visto oltre, mi ha spinto a crescere e superarmi. 
E per questo sarò sempre grato.

Sentirsi a casa in terra straniera.
Le difficoltà più grandi rimangono sempre nell’ambito della burocrazia: l’incubo del permesso di soggiorno, le continue domande in questura, tutti gli intoppi veri e quelli artificiosamente creati sul tema immigrazione. E per questo ci sono stati momenti in cui ho veramente sofferto in Italia. Comunque…c’è sempre l’angelo che ti protegge. Un amico, immigrato pure lui, ha definito molto bene questa situazione: "In Italia la burocrazia ha solo due possibilità: tutto è impossibile, o tutto è un miracolo". Ed è verissimo.
Dal punto di vista lavorativo, trovo che soprattutto in Italia fare il passo dalla gavetta al vero lavoro sia molto complicato. Ancora non credo di comprendere a fondo i meccanismi che permettono di scalare il gradino successivo. Ma ci sto provando…eccome!
E poi sono un sentimentale, e riesco davvero a sentirmi “a casa” ovunque. Non so, forse è un difetto, forse è un pregio. Ma soffro sempre quando devo lasciare una compagnia con cui si lavora bene: lascio fratelli e sorelle ovunque! Io lavoro molto per creare dei buoni rapporti coi colleghi. Perché parto dall'ammirazione: sempre cerco di trovare negli altri quello che mi piace, quell'aspetto del loro canto che mi fa sognare, e mi fa chiedere "ma come fa"? E crescere così con loro. 
Dire in quale teatro mi sia sentito meglio, è come dire quale dei miei genitori ami di più! E' impossibile!
Dove la poesia incontra la musica. 
Quando affronto per la prima volta lo studio di un nuovo lavoro, cerco di capire qual è l’impressione generale che quell'opera o quel personaggio mi trasmette. Il primo impatto. 
E parto da lì. 
Mi dico: Alla fine di quest'opera vorrei che gli spettatori uscissero con queste emozioni dentro. Così, mentre imparo le note cerco subito di introiettarle,  capire come le sento, come vedo le frasi e gli accenti. Una volta che la musica è dentro, le parole vengono praticamente da sole. E lì comincia il lavoro più profondo. Dove la poesia incontra la musica. 
E' il momento in cui puoi arricchire i tuoi concetti, i tuoi sentimenti: imparare a crescere in una direzione sconosciuta. 
Ma alla fine sono molto pragmatico: so che posso memorizzare molto presto e facilmente, e lascio alla scena ed al rapporto coi colleghi l’ultima parte del lavoro.
Regie e sogni...
Credo che l’unico personaggio con cui abbia veramente sofferto sia Alfio (Cavalleria Rusticana). Non è adatto a me…o almeno non lo è stato nel momento in cui l’ho affrontato. Non mi vedo in quei panni, non ho la stoffa per quel carattere né la giusta vocalità. Comunque ho dovuto farlo molte volte, e ho tentato di essere semplicemente onesto: non mi sono mai imposto cose che so di non poter fare.  
E poi…l’operetta. Ho cantato La Vedova Allegra in italiano diverse volte. E proprio non è il mio campo. La tessitura è impossibile, il mio accento straniero nei dialoghi mi risulta insopportabile, ed il ruolo…insomma. Ma che musica!! Lèhar scrive davvero delle melodie uniche. 
Con le regie sono stato finora abbastanza fortunato; per il momento in Italia il Regietheater non si impone con forza, e la mia esperienza come attore di prosa mi aiuta sempre moltissimo: sulla scena riesco ad ottenere il rispetto dei registi, e questo facilita molto le cose. 

Fortunatamente, finora ho fatto pure dei ruoli che mai mi sarei immaginato di poter cantare: Rigoletto, Amonasro, Conte di Luna… Verdi per me è casa, il posto dove mia voce rende meglio. Ma non ho ancora potuto cantare la mia opera verdiana preferita, Don Carlo. Sogno di avere presto l’opportunità di fare Rodrigo, sono sicuro che andrebbe benissimo!! 
Poi, il mio VERO sogno nel cassetto è cantare Iago ...ma credo che sia ancora prematuro. Voglio aspettare che la mia voce maturi e che abbia il colore giusto per quello che voglio fare con quel ruolo, saper rendere tutte le sfumature e la grande musica che c’è dentro. Spesso  Iago negli ultimi tempi è reso in maniera quasi volgare, che non riflette tutti i colori che Shakespeare, Boito e Verdi hanno creato per questo grandissimo personaggio. Spero di potergli rendere presto onore!
La voce ideale.
Alla fine mi sono creato un artista ideale: la voce di Merrill, la forza di MacNeill, l’espressione di Cappuccilli, il gesto di Gobbi…e cosi via. E' facile inizialmente trovare in tutti dei difetti, ma poi, mettendo il corpo in questo lavoro, riesci ad ammirare tutti questi grandi interpreti che hanno segnato la storia dell’Opera. Invece per quanto riguarda i baritoni moderni, credo che siano molto meglio dal vivo. Di recente ho visto Dimitri Horostovsky, che in registrazione non mi piace, ma che sul palco mi ha molto colpito. La stessa cosa vale per Hampson, un grande liederista, la cui voce vera non è quella che si sente in disco.
Lieder o opera?
ENTRAMBI! I grandi, grandissimi del passato non hanno abbandonato mai la musica da camera. Io ho cantato moltissimi Lieder gli anni di studio, e facendo cosi ho imparato molte cose che poi funzionano benissimo nell’opera. Certo, si deve adattare tutto alla misura dello spazio dove si fanno l'uno e l’altro. Ma il buon gusto e la grande musicalità l’impari cantando Schubert, Schumann, Brahms…poi per il baritono…il Lied è una benedizione! 




Aggiornamento: proprio oggi Pedro è diventato papà!! Un grande augurio a lui, alla sua splendida moglie Victoria e al suo piccolo Stefano!



domenica 11 novembre 2012

AMORE ALL'OPERA

E' ora di svegliare questo blog dal letargo: a breve proporrò una novità per gli amanti (e curiosi) del mondo musicale, ma per ora mi accontenterò di un piccolo post per tornare attiva.
Dopo i tre "cattivi" operistici, propongo oggi i tre più bei duetti d'amore (sempre secondo me, e sempre i più belli...per oggi: magari domani cambierò già idea!!). Sarei curiosa di conoscere altri pareri: se ci sono appassionati di opera in ascolto, pubblicate la vostra personale classifica!

3.
Al terzo posto un duetto appassionato, tenebroso e palpitante fatto di musica che graffia e morde, ma allo stesso tempo avvolge e seduce: parliamo della seconda scena del II atto di Un ballo in maschera (G. Verdi), dove Riccardo, governatore di Boston, raggiunge Amelia, da lui profondamente amata ma sposa del suo fedele segretario Renato. La lacerazione interiore di Amelia tra amore dissennato e senso del dovere è palpabile fin dalle prime note del concitato dialogo, mentre l'ardore di Riccardo incalza e fa breccia nel cuore della donna: qui sboccia il germe della tragedia.



Riccardo
Teco io sto.
Amelia
Gran Dio!
Riccardo
Ti calma:
Di che temi?
Amelia
Ah mi lasciate...
Son la vittima che geme...
Il mio nome almen salvate...
O lo strazio ed il rossore
La mia vita abbatterà.
Riccardo
Io lasciarti? no, giammai:
Nol poss'io; chè m'arde in petto
Sovruman di te l'affetto.
Amelia
Conte, abbiatemi pietà.
Riccardo
Così parli? a chi t'adora
Pietà chiedi, e tremi ancora?
Questo core innamorato
L'onor tuo rispetterà.
Amelia
Ma, Riccardo, io son d'altrui...
Dell'amico più fidato...
Riccardo
Taci, Amelia...
Amelia
Io son di lui,
Che darìa la vita a te.
Riccardo
Ah crudele, e mel rammemori,
Lo ripeti innanzi a me!
Non sai tu che se l'anima mia
Il rimorso dilacera e rode,
Quel suo grido non cura, non ode,
Sin che l'empie di fremiti amor?...
Non sai tu che di te resterìa,
Se cessasse di battere il cor!
Quante notti ho vegliato anelante!
Come a lungo infelice lottai!
Quante volte dal cielo implorai
La pietà, che tu chiedi da me! -
Ma per questo ho potuto un istante,
Infelice, non viver di te?
Amelia
Deh soccorri tu, cielo, all'ambascia
Di chi sta fra l'infamia e la morte;
Tu pietoso rischiara le porte
Di salvezza all'errante mio piè.
E tu va - ch'io non t'oda - mi lascia:
Son di lui, che il suo sangue ti diè.
Riccardo
La mia vita... l'universo,
Per un detto...
Amelia
O ciel pietoso!
Riccardo
Di' che m'ami...
Amelia
Ah va, Riccardo!
Riccardo
Un sol detto...
Amelia
Ebben, sì, t'amo...
Riccardo
M'ami, Amelia!
Amelia
Ma tu, nobile,
Me difendi dal mio cor!
Riccardo [fuori di sè]
M'ami, m'ami!... oh sia distrutto
Il rimorso, l'amicizia
Nel mio seno: estinto tutto:
Tutto sia fuorchè l'amor!
Quale soave brivido
L'acceso petto irrora!
Ah ch'io t'ascolti ancora
Rispondermi così!
Astro di queste tenebre
A cui consacro il core:
Irradiami d'amore,
E più non sorga il dì!
Amelia
Ahi sul funereo letto
Ove sognava spegnerlo,
Torna gigante in petto
L'amor che mi ferì!
Chè non m'è dato in seno
A lui versar quest'anima?
O nella morte almeno
Addormentarmi qui?

2.

Al secondo posto, il celebre duetto d'amore tra Silvio e Nedda in Pagliacci (Leoncavallo): impossibile non lasciarsi travolgere dalla passione di Silvio che reclama col cuore in mano ciò che Nedda gli deve: ammettere che non ama Canio, l'uomo che l'ha tolta dalla strada e che le fa da compagno-padrone, e partire via con lui, abbandonare questa vita di vagabondaggi e realizzare il loro sogno d'amore: non c'è più tempo per indugiare, la compagnia parte l'indomani e Nedda con essa, se non accetterà di fuggire con Silvio. 



SILVIO
Nedda!
NEDDA
Silvio! a quest'ora... 
che imprudenza!
SILVIO
Ah bah! 
Sapea ch'io non rischiavo nulla. 
Canio e Peppe da lunge a la taverna, 
a la taverna ho scorto!... 
Ma prudente pe la macchia 
a me nota qui ne venni.
NEDDA
E ancora un poco 
in Tonio t'imbattevi!
SILVIO
ridendo
Oh! Tonio il gobbo!
NEDDA
Il gobbo è da temersi! 
M'ama... Ora qui mel disse... 
e nel bestial delirio suo, 
baci chiedendo, 
ardia correr su me!
SILVIO
Per Dio!
NEDDA
Ma con la frusta 
del cane immondo 
la foga calmai!
SILVIO
E fra quest'ansie in eterno vivrai?! 
Nedda! Nedda! 
Decidi il mio destin, 
Nedda! Nedda, rimani! 
Tu il sai, la festa ha fin 
e parte ognun domani. 
Nedda! Nedda! 
E quando tu di qui sarai partita, 
che addiverrà di me... 
della mia vita?!
NEDDA
commossa
Silvio!
SILVIO
Nedda, Nedda, rispondimi: 
s'è ver che Canio non amasti mai, 
S'è ver che t'è in odio 
il ramingar e'l mestier che tu fai, 
se l'immenso amor tuo 
una fola non è 
questa notte partiam! 
fuggi, fuggi con me!
NEDDA
Non mi tentar! 
Vuoi tu perder la vita mia? 
Taci Silvio, non più... 
È deliro, è follìa! 
Io mi confido a te, 
a te cui diedi il cor! 
Non abusar di me, 
del mio febbrile amor! 
Non mi tentar! Non mi tentar! 
Pietà di me! Non mi tentar, non mi tentar!
Non mi tentar! 
E poi... Chissà!... meglio è partir. 
Sta il destin contro noi, 
è vano il nostro dir! 
Eppure dal mio cor 
strapparti non poss'io, 
vivrò sol de l'amor 
ch'hai destato al cor mio!
SILVIO
Ah! Nedda! fuggiam!
NEDDA
Ah! Non mi tentar! etc.
SILVIO
Nedda rimani!... 
Che mai sarà per me 
quando sarai partita? 
Riman! Nedda! Fuggiam! 
Deh vien! etc.
Tonio appare dal fondo a sinistra.
SILVIO
No, più non m'ami!
TONIO
scorgendoli, a parte
Ah! T'ascolta, sgualdrina!
Fugge dal sentiero minacciando.
NEDDA
Che!
SILVIO
Più non m'ami!
NEDDA
Sì, t'amo! t'amo!
SILVIO
E parti domattina? 
amorosamente, cercando ammaliarla
E allor perché, di', tu m'hai stregato 
se vuoi lasciarmi senza pietà?! 
Quel bacio tuo perché me l'hai dato 
fra spasmi ardenti di voluttà?! 
Se tu scordasti l'ore fugaci, 
io non lo posso, e voglio ancor, 
que' spasmi ardenti, que' caldi baci, 
che tanta febbre m'han messo in cor!
NEDDA
vinta e smarrita
Nulla scordai... sconvolta e turbata 
m'ha questo amor che ne'l guardo ti villa! 
Viver voglio a te avvinta, affascinata, 
una vita d'amor calma e tranquilla! 
A te mi dono; su me solo impera. 
Ed io ti prendo e m'abbandono intera!
Tutto scordiam! 
Negli occhi mi guarda! 
Baciami, baciami! 
Tutto scordiamo!
SILVIO
Tutto scordiam! 
Ti guardo, ti bacio!
stringendola fra le braccia
Verrai?
NEDDA
Si... Baciami! 
Si, mi guarda e mi bacia! 
T'amo, t'amo.
SILVIO
Si, ti guardo e ti bacio! 
T'amo, t'amo.

1.

Al primo posto, per quanto mi riguarda di tutte le epoche, generi e mondi, c'è e ci sarà sempre Bohéme (Puccini). Ho scelto il duetto finale, "Sono andati...", quando Mimì è ormai a un passo dalla morte, e non il primo celeberrimo "O soave fanciulla", pur altrettanto intenso e meraviglioso, perchè mentre l'amore del primo quadro è puro e genuino, esplosione di gioia di vivere ed emblema della gioventù, alla fine dell'opera i due protagonisti hanno un vissuto tanto intenso alle spalle che il loro amore non potrà che essersi arricchito di vita. Mimì e Rodolfo si sono amati, si sono lasciati; Mimì ha umiliato Rodolfo, spassandosela nell'alta società, e Rodolfo non c'era quando Mimì aveva più bisogno di lui. Ora che lei è tornata a morire tra le braccia del suo unico e vero amore ("Mi vuoi qui con te?" è struggente), sembra che non sia passato nemmeno un giorno dal loro primo bacio: la tenerezza di Rodolfo che vuole distogliere Mimì dall'ombra della morte è quanto di più romantico possa mai esistere in un'opera. 




Mimì 
(Apre gli occhi, vede che sono tutti partiti e allunga la mano verso Rodolfo, che gliela bacia amorosamente.) 
Sono andati? Fingevo di dormire 
perché volli con te sola restare. 
Ho tante cose che ti voglio dire, 
o una sola, ma grande come il mare, 
come il mare profonda ed infinita... 
(Mette le braccia al collo di Rodolfo.) 
Sei il mio amore e tutta la mia vita!
Rodolfo 
Ah, Mimì, 
mia bella Mimì!
Mimì 
(Lascia cadere le braccia.) 
Son bella ancora?
Rodolfo 
Bella come un'aurora.
Mimì 
Hai sbagliato il raffronto. 
Volevi dir: bella come un tramonto. 
«Mi chiamano Mimì, 
il perché non so...».
Rodolfo 
(intenerito e carezzevole) 
Tornò al nido la rondine e cinguetta. 
(Si leva di dove l'aveva riposta, sul cuore, la cuffietta di Mimì e gliela porge.)
Mimì 
(gaiamente) 
La mia cuffietta... 
Ah! 
(Tende a Rodolfo la testa, questi le mette la cuffietta. Mimì fa sedere presso a lei Rodolfo e rimane colla testa appoggiata sul petto di lui.) 
Te lo rammenti quando sono entrata 
la prima volta, là?
Rodolfo 
Se lo rammento!
Mimì 
Il lume si era spento...
Rodolfo 
Eri tanto turbata! 
Poi smarristi la chiave...
Mimì 
E a cercarla 
tastoni ti sei messo!...
Rodolfo 
...e cerca, cerca...
Mimì 
Mio bel signorino, 
posso ben dirlo adesso: 
lei la trovò assai presto...
Rodolfo 
Aiutavo il destino...
Mimì 
(ricordando l'incontro suo con Rodolfo la sera della vigilia di Natale) 
Era buio; e il mio rossor non si vedeva... 
(Sussurra le parole di Rodolfo). 
«Che gelida manina... 
Se la lasci riscaldar!...» 
Era buio 
e la man tu mi prendevi... 
(Mimì è presa da uno spasimo di soffocazione e lascia ricadere il capo, sfinita.)
Rodolfo 
(Spaventato, la sorregge.) 
Oh Dio! Mimì!